Ichnusa, terra antica


Racconto di una ristrutturazione in Sardegna, di due travi-albero di Ginepro fenicio e di una distesa di Querce da sughero.

La Sardegna, una delle terre più antiche e belle del mondo con un’età stimabile in 600 milioni di anni, in greco antico veniva chiamata “Ichnussa”, in quanto il perimetro dell’isola rassomiglia all’impronta di un piede umano.

L’ossatura geologica della Sardegna è composta di granito, il materiale formatosi nel sottosuolo quando imponenti masse di roccia fusa fuoriuscirono dalla crosta terrestre. Le condizioni che la natura può offrire sono immense, la meraviglia è nell’estremismo, inteso come fattori naturali contrapposti.

Tempo fa, mi sono occupato di una ristrutturazione di una casa nella costa de La Maddalena, affidata a una ditta locale. Il giovane impresario, soprannominato Billo, coinvolto entusiasticamente dal progetto attraverso un lungo tour mi mostrò le tradizioni e i materiali costruttivi della Sardegna.

Ricordo una visita speciale, in una bella casa di campagna, dove incontrammo un antiquario-rigattiere, che oltre ai mobili, offriva la vendita di vecchi travi per le strutture della case tipiche della zona. Le travi non erano molte, le dimensioni adeguate per la casa e la tonalità rossiccia, tutto si addiceva alla ristrutturazione. Più che travi erano alberi interi, molto rastremati verso la cima. Il mio sguardo si soffermò su una in particolare, dava la sensazione di un albero che aveva sofferto, e malgrado essere rettilineo era come composto da una treccia fusa nel suo stesso fusto. Il rigattiere disse che le travi erano speciali, di Ginepro, e continuava a ripetere: “un legno come ferro”. Mentalmente associai il Ginepro all’arbusto di montagna, le cui bacche vengono usate per gli arrosti e per la distillatura del Gin.
Ero incredulo, mi risultava difficile pensarlo come un grande albero. L’antiquario prese la mola da fabbro e con fatica intaccò il legno provocando piccole scintille. Rimasi strabiliato, soprattutto dal profumo e dalle sue successive parole: “Dove c’è odore di Ginepro non sosta il demonio“. Mi aveva convinto su tutto, ma il costo era importante: come comprare un comò dell’Ottocento. Telefonai al mio committente, descrivendo la cosa e lui si incuriosì più di me. Mi diede fiducia e un budget da non superare.

Scelsi solamente due travi-comò, una molto grande, monumentale, della lunghezza di circa sette metri, che partiva con un’estremità del diametro di 50 centimetri e dall’altra finiva con 20. Sarebbe diventata la trave di colmo del tetto a vista, nella lunga falda sopra il doppio livello del soggiorno nello scalare verso il mare. La seconda trave, più piccola e corta, era una scultura naturale. Potevi vederci quei disegni di anatomia umana, nella rappresentazione delle fasce muscolari del braccio. Un’idea di forza, con le fibre contorte ben legate tra loro in una sola energia. Questa sarebbe andata a sostenere la vela ombreggiante per il solarium della terrazza.

Billo mi spiegò che si trattava di Ginepro fenicio, un albero molto longevo, a crescita lenta, non infastidito ne dal sole e ne dal vento, una pianta dura che vive su rocce o sabbie vicino al mare. Le travi-albero venivano delle coste dell’Asinara.

Il legno è duro, compatto, tenace, incorruttibile ed era molto apprezzato in ebanisteria per fare bastoni da passeggio, utensili da campagna come forconi, pale e in antichità per costruire aratri. Veniva, inoltre, impiegato nelle costruzioni delle capanne dei pastori (pinnettas) e dei ricoveri per gli animali sia come copertura che per i recinti. I rami giovani in infusione venivano utilizzati come anestetico nei dolori dentali e nella clandestinità delle pratiche abortive. Nelle funzioni religiose si bruciava la sua resina, perché più profumata dell’incenso. Un legno estremista.

 

In viaggio verso Oristano

Nella realizzazione dell’allestimento della casa, il mobilio fu affidato a un’azienda dell’alta Gallura in provincia di Oristano.

Per appaltare il lavoro, in auto da solo, mi recai per la prima volta a Calangianus, sede della falegnameria, per incontrare il titolare, spiegare il progetto, discuterne i dettagli e pianificare lo svolgimento.

Fu il viaggio più estremista della mia vita. Lungo la strada, per moltissimi chilometri, gli alberi piantumati in entrambi i lati ero magri, scheletrici, malgrado avessero delle ampie chiome. Tonino, il titolare della ditta, ovviamente, sapeva tutto. Gli alberi erano Querce da sughero, che da maggio ad agosto vengono incise solamente sullo strato tuberoso, senza causare lesioni alla pianta, e tolta la corteccia. La prima estrazione viene detta “de maschiatura”, perché il sughero è “maschio”, grossolano, ruvido e poroso. Questo “sugherone” misura circa 5 centimetri di spessore. Le estrazioni successive, a intervalli di circa dieci anni, sono di un sughero leggero, compatto e uniforme, definito “gentile” o “femmina”. L’operazione viene effettuata per mano di personale specializzato, i “lubucadori”, come fossero minatori, ma solo estrattori di sughero. In ogni casa, in ogni fattoria, in ogni azienda, in ogni piazzale coperto o scoperto trovi sughero a stagionare. Successivamente il materiale viene sterilizzato, e trasformato, non solo in tappo per vino, grappe e champagne, ma anche in altri impieghi: dalla moda e calzaturiero all’edilizia, dall’oggettistica all’orologeria. Calangianus è nella classifica dei 100 comuni più industrializzati d’Italia, in quanto capitale del sughero, un legno forse l’opposto del Ginepro, forse in estremità.

Fu un progetto condiviso con la committenza e con la compartecipazione emotiva delle maestranze del luogo al fine di realizzare la casa nella migliore tradizione sarda. Terminati i montaggi tutto era stato messo al suo posto, e alla consegna dell’opera finita, la casa fu inaugurata con una grande cena dove non potè mancare il porceddu, il maialino arrosto. Tolto lo spiedo dalla brace, il porceddu cosparso con foglie di mirto, fu arrotolato su una corteccia di sughero e messo in una buca in giardino e ricoperta di terriccio. Abbandonato sotto terra, fu riesumato ore dopo al momento del secondo. Era ancora caldo, con quest’ultima cottura, nel quale il calore rimane addossato alle carni isolato dall’intorno con il sughero, la fragranza della crosticina è garantita. Estremismi di una terra antica.

di Riccardo Diotallevi

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L’autore

rtArchitetto prestato all’industria”, ha collaborato per venti anni con Elica (leader mondiale nelle cappe per cucina) svolgendo progetti per l’arte contemporanea, il design di prodotto, l’architettura e la comunicazione di brand. Il suo progetto della sede Elica Corporate a Fabriano (AN) ha contribuito a far classificare l’azienda prima in Italia e in Europa nella graduatoria del Great Place to Work 2011 e l’opera è stata selezionata per la XIII Mostra Internazionale d’ArchitetturaLa Biennale di Venezia 2012. È per il secondo triennio (2017 – 2020) consigliere nel Comitato Esecutivo ADI – Associazione per il Disegno Industriale. Per diversi anni è stato docente presso l’Università di Camerino alla Scuola di Ateneo Architettura e Design di Ascoli Piceno e presso l’Istituto Superiore Industrie Artistiche, ISIA di Urbino. Nel 2014 fonda DiotalleviDesign, uno studio aperto che ricerca e promuove l’originalità delle idee per il design di prodotto, degli ambienti e della comunicazione. Il suo progetto del camino rotante Fumotto, prodotto dalla Focotto, è stato selezionato da ADI Design Index 2016.

www.diotallevidesign.com