Marco Felicetti: ve lo do io il green!


Chi l’ha detto che basta il legno per essere sostenibili?

57 anni. Trentino DOC. Per certi aspetti un self made man. A detta di molti addetti ai lavori, un predicatore dell’edilizia sostenibile, al motto di “Pavimenti in legno biocompatibili”. Per tutti, però, è l’amministratore delegato di Fiemme 3000. Marco Felicetti si è raccontato alla nostra rivista. Consegnandoci anche qualche interessante spunto d’attualità.

Partiamo dal principio: perché ha deciso di investire nel legno?

Sicuramente c’è stata una motivazione legata al territorio. Il legno nella Val di Fiemme ha una storia millenaria e si dice che i suoi abitanti abbiano un po’ di questa segatura nel cervello. E poi c’era un altro fatto: l’economia del legno stava soffrendo la crescita del turismo avvenuta dagli anni ’50 in poi. Ecco, l’idea di lavorare con la materia prima nostra e di poter realizzare qualcosa di importante in Italia e nel mondo mi ha subito appassionato”.

Si è mai pentito di questa scelta?

Pentito no, però non si può nemmeno nascondere che si tratta di un mercato con diverse criticità. Ricordo ancora le prime discussioni tra noi soci. La domanda che ci ponevamo era: perché un cliente finale dovrebbe optare proprio per un pavimento in legno? Fondamentalmente a lui serve solo un pavimento. E all’epoca sotto quella voce c’era l’imbarazzo della scelta, soprattutto in Italia, il paese delle superfici. Pensiamo alla tradizione che c’è per la ceramica…”.

Quindi che risposta vi siete dati?

Beh, abbiamo pensato che se a un cliente serve un pavimento, ci sono tante soluzioni, alcune anche più performanti del legno per certi aspetti: una piastrella in finto legno, ad esempio, resiste meglio all’usura ed è più veloce da pulire di un listello di parquet”.

Come se ne esce?

Riflettendo sul vero significato di un pavimento in legno, ovvero portarsi in casa un pezzo di albero, un prodotto naturale. Ed è qui che casca l’asino”.

In che senso?

Quando nel ’94 cominciai a visitare cantieri con i soci di allora, mi capitava spesso di fermarmi a scambiare qualche chiacchiera coi posatori. Fu in quegli incontri che mi resi davvero conto di quanta chimica si utilizzasse a terra per un prodotto che dovrebbe essere naturale come il parquet: primer, colle bicomponente, vernici… alla fine ci si ritrova con più sostanze da laboratorio che legno. Un pavimento privo di elementi chimici nocivi dovrebbe essere prima di tutto una questione di coerenza per noi che lavoriamo in questo settore. Al di là delle norme e delle certificazioni, che potrebbero anche essere carenti, insufficienti o addirittura ‘timide’, per non andare a punire in modo troppo severo il comparto”.

E’ così che è nata la vostra filosofia dei “pavimenti in legno biocompatibili”?

Quasi. Adesso arrivo al punto”.

Prego.

Dopo aver partecipato a decine di convegni sul tema, ormai mi ero fatto l’idea che la battaglia alle sostanze sarebbe finita esattamente come il contrasto al doping nello sport: per quanto ci si possa impegnare nel mettere paletti, la chimica sarà sempre in grado di sfornare qualche nuovo elenco con nomi camuffati. E’ una lotta senza fine. Serviva allora un ragionamento sull’origine delle sostanze. Che, libri di scienze alla mano, può essere solo di tre tipi: vegetale, minerale o fossile. E mi sono detto: perché non provare a fabbricare un pavimento con l’ausilio di oli vegetali? In questo modo avrei ottenuto una soluzione biocompatibile. Sentivo di aver trovato la giusta direzione, ma restava ancora il problema del sistema di posa”.

Non ci tenga sulle spine, suvvia.

Decidemmo di optare per le pose a secco: galleggianti o flottanti. Una soluzione più pratica, che gradualmente ci ha permesso di andare anche nelle zone giorno, nei bagni… In quegli anni fu come aprire il vaso di Pandora. Ma vi sembra normale che facciano più business le società della chimica rispetto ai produttori di legno?”.

Ce lo dica lei.

Il nostro olio è 100% vegetale e richiede un ciclo di trattamento di 24 ore in un apposito impianto che ci siamo costruiti a Predazzo. Se usassimo una vernice UV ad acqua effetto cera come molti nostri competitor, potremmo finire in un massimo di 10 minuti. E’ questo che non va giù all’industria del parquet. Noi fortunatamente abbiamo conservato una dimensione di piccola azienda artigianale e possiamo infischiarcene di certe logiche. Sono convinto che in futuro, grazie ad internet, sempre più clienti cominceranno a prestare maggiore attenzione alla sostenibilità delle superfici e allora lì ci sarà da divertirsi”.

A guardare i telegiornali in questi giorni, potrebbe essere una rivoluzione già in atto…

La via è quella individuata in anni recenti dal food o nel tempo libero: dimostrare quale influenza ha il prodotto sul benessere psico-fisico della persona. Chiaro, per alcune categorie è più semplice. Ma l’edilizia non deve partire da una posizione rinunciataria”.

Lei cosa propone?

Io posso portare l’esempio di Fiemme 3000. Grazie a un bando della Fondazione Caritro sull’innovazione, siamo riusciti a finanziare un bando di ricerca sulla salubrità dell’aria indoor. Da due anni di studio condotto dal CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, è emerso che i VOC emessi dal nostro parquet hanno sull’organismo gli stessi effetti benefici di molti prodotti balsamici per i bronchi come il Vicks Vaporub. In altre parole: abbiamo scientificamente provato che respirare quotidianamente le sostanze organiche volatili rilasciate da un pavimento Fiemme 3000 equivale ad assorbire alpha-Pinene e beta-Pinene al pari di una passeggiata nella foresta. Quindi a fare le cose come si deve siamo arrivati perfino oltre i ‘Pavimenti in legno biocompatibili’. E tutto questo senza porre limiti al cliente finale in termini di funzionalità rispetto alle altre superfici in legno. Dal mio punto di vista, è evidente che chi continuerà a giocarsela sulla praticità, sull’economicità e sull’aspetto estetico sarà sempre destinato a perdere. La storia che un pavimento in legno non può essere perfetto le persone l’hanno già superata e accettata da anni: non è più un problema. I consumatori ormai sono più avanti dei produttori. Non a caso le nostre vendite sono per la maggior parte di legno con nodi e spaccature”.

A proposito di sostenibilità, qual è la sua opinione sul fenomeno Greta Thumberg?

Quella bambina è un dono del Signore. Certo, il suo messaggio è noto da anni. Ma senza l’innocenza e la genuinità di un essere così innocente dubito si sarebbe arrivati a parlare e a discutere seriamente di temi così cruciali per il nostro pianeta. Quindi io sono a favore di tutte le iniziative che mettono sotto alla luce il problema e che aiutano a diffondere la cultura dell’economia circolare e del riciclo. Purtroppo per Greta, però, non credo che i governi riusciranno mai a prenderla sul serio. Anche se ci spero profondamente”.

Ha citato i governi: cosa si aspetta da quello italiano per quanto riguarda il tanto sbandierato Green New Deal?

No, guardi, ho avuto così tante delusioni dalla politica in questi anni che sono un po’ prevenuto”.

Lei cosa auspicherebbe?

Non chiederei molto: mi basterebbe che attraverso le organizzazioni scientifiche già presenti sul territorio si decidesse che la prova di salubrità dell’ambiente domestico assuma lo stesso valore della certificazione energetica. Insomma, stabilire una serie di ‘paletti’ entro i quali determinate sostanze nocive non devono andare oltre, in modo da obbligare i produttori dei materiali per l’edilizia a eseguire loro una prova di emissione sui singoli prodotti da fornire al costruttore, all’architetto o al progettista. Oggi non c’è una regola stringente e tutto è green. Mi piacerebbe che ci fosse una concorrenza ad armi pari”.

Quali sono le sue pratiche green a livello personale e aziendale?

Purtroppo conduco una vita sregolata, sempre dietro a qualche impegno lavorativo. E questo mi porta a viaggiare molto in auto. Nel tempo libero, che spesso coincide con la domenica, cerco allora di dedicarmi all’attività fisica e per farlo ho scelto le e-bike: permettono di realizzare delle performance incredibili anche a chi è solo un amatore come il sottoscritto. La soluzione mi ha talmente entusiasmato che tre anni fa ho deciso di finanziarne il 50% dell’acquisto tramite Fiemme 3000 a ogni dipendente che ne avesse voluta una per il tragitto casa-lavoro. Hanno aderito quasi tutti e oggi è un piacere vederli arrivare in bicilette anziché in macchina. Non solo: nella stessa ottica, abbiamo installato delle colonnine di ricarica per auto elettriche nel parcheggio aziendale. Al momento non vengono particolarmente utilizzate, ma gli investimenti delle più forti case automobilistiche in questa direzione mi fanno ben sperare. Infine, sul tetto dello stabilimento abbiamo montato un impianto fotovoltaico che riesce a coprire il 70% del fabbisogno energetico dell’azienda“.

Come vengono accolti i vostri prodotti green all’estero? Ultimamente avete aperto diversi showroom in giro per il mondo…

Il nostro obiettivo è quello di riuscire a conquistare una serie di mercati stranieri così da dividere 50 e 50 il fatturato con l’Italia. Ad oggi siamo 80 e 20: ci manca abbastanza, ma siamo al lavoro anche su questo. Cina, India, Oman, Arabia Saudita, Kuwait oltre ai paesi europei e agli USA: stiamo cercando interlocutori affidabili per portare esportare la nostra idea di pavimento in legno. I primi segnali devo ammettere sono piuttosto incoraggianti. Come testimoniano i numerosi showroom all’estero aperti in questi anni. Se in Italia il tema della salubrità nell’edilizia continuerà a restare confinato in una nicchia, sono fiducioso saremo comunque in grado di trovare un equilibrio per l’azienda oltreconfine. Del resto è l’unica via che abbiamo per portare avanti la nostra politica senza dover scendere a compromessi”.

Mettiamo invece il caso contrario, ovvero che anche i vostri competitor comincino a produrre parquet con un orientamento più vicino a Fiemme 3000: come farete a distinguervi?

Io ho due grandi passioni: la montagna e il vino. Mi piace pensare che Fiemme 3000 possa diventare come una piccola, prestigiosa casa vinicola, con una capacità produttiva limitata e un riconoscimento di qualità elevato. Il fatto di non poter fornire parquet per tutti sarà automaticamente l’elemento che darà valore al mio prodotto. Dunque ben vengano altri brand che scelgono di intraprendere con noi questo percorso. Perché il made in Italy si promuove con l’eccellenza e l’innovazione, non puntando sul piano della convenienza”.

Un’ultima curiosità: come mai 3000?

Fiemme era il nome della valle e da solo non me lo lasciavano registrare. Provai prima con le parole, ma non ne trovavo che mi convincevano. Così passai ai numeri. In quegli anni, nel ’94, tutti mettevano 2000 perché c’erano quelle dicerie sul Millenium Bug e la fine del mondo. Pensai allora di usare direttamente 3000, per dare l’idea di una visione a lungo termine. Ma poi c’è un’altra motivazione che mi piace raccontare: in Val di Fiemme siamo 20 mila abitanti e abbiamo 60 milioni di alberi – adesso 58 perché 2 milioni li abbiamo persi con l’alluvione, ma ricrescono. E allora 60 milioni diviso 20 mila faceva 3000: 3000 alberi a testa, ecco Fiemme 3000! Poi ogni tanto per scherzare dico anche che è l’anno di scadenza della società (sorride, ndr)”.

di Davide Vernich