La lunga storia del parquet


L’arte di usare il legno per le pavimentazioni è antica: non c’è quasi residenza nobile europea che non conservi, al suo interno, esempi di parquet di raffinata fattura. Dall’intarsio al parquet all’inglese, dal lamparquet ai listoni, l’autore ci propone un interessante excursus storico, ricco di documentazioni, su pavimenti e tecniche di posa.

La storia del parquet si lega a doppio filo con la storia dell’abitare, perché l’impiego del legno si fonde inevitabilmente con l’evoluzione delle tecnologie e tecniche costruttive edilizie.

Già in epoca neolitica (4000 a.C.), nel nord’Europa, grazie alla facilità di approvvigionamento della materia prima, le case avevano pavimenti di tavole di legno rozzamente tagliate.

Facendo un bel salto in avanti, nel primo millennio d.C., in Svezia e in Finlandia in particolare, la struttura delle abitazioni era formata interamente da tronchi di legno sovrapposti orizzontalmente, mentre le pavimentazioni sono mantenute distaccate dal terreno con delle travi in cui sono sistemate delle tavole con la funzione di pavimento.

Tra l’XI e il XIV secolo in Norvegia, a seguito della diffusione del cristianesimo, si iniziano a costruire chiese la cui pavimentazione era fissata alle travi sottostanti mediante l’uso di chiodi in ferro.
Arriviamo così agli ultimi decenni che precedono la conclusione del primo millennio, quando i pavimenti in legno, migliorati qualitativamente dall’evoluzione delle lavorazioni, sono diffusi in tutti i territori del Nord Europa e nei Paesi atlantici a clima freddo. Le specie legnose maggiormente lavorate sono quercia, pino, abete e larice. Verso la fine del Medioevo si iniziano ad accostare tavole di specie legnose differenti con differente colorazione, con il preciso intento di ottenere un certo schema geometrico. Nel XIV secolo l’intarsio, tecnica di origine orientale, iniziò a diffondersi nel nord Italia e più fortemente in Toscana. Inizialmente si realizzavano elementi decorativi geometrici che venivano applicati per le profilature dei mobili, dal XVI secolo questa tecnica si diffuse anche oltre le Alpi, nel resto d’Europa, dove si perfezionò e iniziò a diffondersi anche nel mondo dei pavimenti.

Sulle tavole che formavano i pavimenti si iniziarono a incollare sottili strati (piallacci) di una o più specie legnose, in modo da ottenere dei disegni geometrici.

Maria Ludovica Vertova, autrice del volume “I pavimenti lignei in Europa” (Edizioni Electa, 2005), nelle sue ricerche ipotizza che il termine parquet, di origine francese, abbia preso piede durante il XVII secolo, periodo in cui i pavimenti di legno decorati hanno avuto massima diffusione.

Sempre in questo secolo iniziò a diffondersi l’abitudine di comporre i decori del parquet in pannelli lavorati nelle botteghe artigiane, che solo in seguito venivano posti in opera. Con molta probabilità la nascita dei pannelli decorativi, formati inizialmente da composizioni geometriche e non tarsie artistiche, è da collocare dopo il 1624. Louis Savot, nel suo trattato “L’architecture Françoise des bastimens particuliers” apparso nel 1624) descrive infatti solo il “parquet a planches”, mentre in una pubblicazione di Godfrey Richard del 1683 c’è la riproduzione di un disegno del parquet della regina Henrietta Maria realizzato tra il 1661 e il 1662.

 

I parquet all’inglese

Nel primo decennio del novecento si diffondono i parquet all’epoca definiti “all’inglese”. Questa nuova pavimentazione è composta da listoni di larghezza solitamente compresa tra i 7 e 11 cm, posti uno di seguito all’altro, in file contigue unite fra loro da incastri maschiati.

I pavimenti caratterizzati dalla posa all’inglese, assieme a quelli a punto d’Ungheria e alla loro semplificazione a spina di pesce trovano applicazioni a partire dal novecento anche in abitazioni private, divenendo a poco a poco pavimenti di più allargata diffusione al di fuori delle grandi ville o castelli.

 

Dal mosaico al lamparquet

Negli anni ’50, ma soprattutto a seguito del boom economico degli anni ’60, in Italia si diffonde il formato lamellare, noto come “pavimento a mosaico”, costituito tipicamente da elementi di 8 – 10 mm di spessore, con larghezza 2 cm e lunghezza di 12 cm, pre-assemblati in quadrotte in cui, grazie all’accostamento di più elementi, si formano dei quadrati che, nella posa in opera, venivano orientati ortogonalmente rispetto a quelli adiacenti.

Nei decenni successivi si afferma il cosiddetto “lamparquet”, tavoletta di 10 – 12 mm di spessore e lunghezza compresa dai 200 ai 500 mm. Tornano nuovamente di moda i listoni, di derivazione di quelli d’inizio secolo, usati nella posa all’inglese, e una variazione del lamellare, definita “pavimento industriale”, con gli elementi posati sul fianco, commercializzati in blocchetti in cui le teste sono mantenute allineate.

A metà degli anni ’80 iniziano a diffondersi listoni e doghe molto diversi tra loro nelle dimensioni e nella composizione, caratterizzati per essere composti da due o tre strati ed essere forniti già verniciati.
Questa nuova famiglia di pavimenti di legno viene definita “pavimenti multistrato” o nel gergo commerciale “prefiniti”. Nello stesso periodo, proprio grazie all’evoluzione industriale che ha permesso la nascita del pavimento multistrato, compaiono nuovamente decori, pannelli decorativi (quadrotte) e fregi caratterizzati da disegni moderni e una produzione standardizzata a livello industriale.

 

Un passo indietro: pavimento tavolato

In Inghilterra, i pavimenti formati da assi esistevano al piano terra già in epoca romana. Erano composti da piccoli pilastri in pietra che sostenevano i tavolati in modo da permettere il passaggio dell’aria e limitare quindi i problemi dovuti all’umidità del suolo. Tra il V e il VII secolo, le case dei Sassoni avevano l’intera struttura in legno, a piano terra le travi orizzontali erano sostenute da pilastri ed erano impiegate delle assi per comporre il pavimento mentre, al primo piano, le travi erano disposte ad incastro sopra la struttura portante. Bisogna però aspettare l’arrivo del secondo millennio per trovare le prime vere lavorazioni artigiane nella posa in opera dei pavimenti e addirittura il 1800 per averne una documentazione dettagliata.

Nel 1800, la tecnica di posa delle assi maggiormente utilizzata in Inghilterra prevedeva l’inserimento di chiodi di ferro con un’inclinazione di 45 gradi nei fianchi delle tavole, per fissarle ai travetti sottostanti posti in direzione ortogonale. I chiodi erano nascosti dalla tavola adiacente. Quest’ultima era fissata alla prima con chiodi di legno, inseriti orizzontalmente sui fianchi. Per la giunzione delle teste iniziano a comparire i primi incastri a maschio – femmina, composti da una linguetta orizzontale ricavata nel primo elemento che andava inserita in una scanalatura presente nel secondo elemento.

Altri due metodi meno pregiati, prevedevano di accostare tra loro le tavole e inchiodarle direttamente in corrispondenza dei sottostanti travetti o di congiungere i bordi delle assi mediante una linguetta di circa un pollice in modo da evitare fessure tra i fianchi.

Nel 1600, sempre in Inghilterra, compaiono casi di pavimenti dipinti come si può tutt’oggi ammirare nella stanza Tyrconel, a Belton House nel Lincolshine.

In Francia è difficile trovare pavimentazioni ad assi, probabilmente perché dopo l’invenzione francese del parquet a pannelli si preferì utilizzare questa nuova tecnica nella maggior parte delle case per tutto il settecento, mentre i tavolati esistenti furono abbelliti con intarsi.

Le tecniche di posa dei tavolati erano comunque assimilabili a quelle inglesi, ma in Francia era consuetudine disporre nei solai delle travi di altezza dell’ordine dei 10 pollici e spessore 4 pollici a cui erano fissati in direzione ortogonale dei travetti i quali sostenevano le assi del pavimento. Ogni asse era sostenuta da almeno quattro travetti. Le travi, i travetti e gli assi non dovevano appoggiare ai muri perimetrali per evitare la trasmissione delle vibrazioni e che le dilatazioni a causa dell’umidità, causassero crepe sui muri.

Sempre in Francia, come compare in alcune illustrazioni, si sviluppano le prime lavorazioni sui fianchi delle tavole per migliorare le caratteristiche prestazionali delle pavimentazioni (Nickl P., 1995).

Non si trovano molti riferimenti in letteratura, ma solitamente queste pavimentazioni, a seguito della posa, subivano una lavorazione di “raschiatura” con lo scopo di portare allo stesso livello le assi e rendere la superficie planare.

In tempi più antichi spesso i pavimenti erano lasciati grezzi, senza l’applicazione di alcun prodotto. Le famiglie aristocratiche coprivano interamente o in parte i pavimenti con grandi tappeti che abbellivano le superficie e le proteggevano dall’usura.

È solamente da metà Ottocento che si trova qualche riferimento alla produzione, per lo più artigiana, di prodotti assimilabili alle vernici per la finitura del pavimento in legno. In particolare si trovano indicazioni sulla preparazione di vernici a base di gomma lacca, mentre con ogni probabilità, già dai secoli precedenti, era consueto l’utilizzo di olio e cera, anche se il loro uso nei pavimenti è difficilmente databile (Belluomini G., 1887).

 

Parquet a pannelli decorativi

Gli storici dell’arredo di interni, in particolare quelli inglesi, ritengono che il disegno del pannello a parquet sia di ispirazione italiana, perché se ne trovano le prime tracce nelle traduzioni fatte su opere di Andrea Palladio e Sebastiano Serlio. Inizialmente questo tipo di pavimentazione, detto “alla Serlio”, era composto da un insieme di listelli disposti in diagonale entro pannelli quadrangolari, con funzione strutturale, studiato per formare un nuovo tipo di pavimento con funzione portante di solaio.
È plausibile pensare che il parquet Versailles costituisca una rielaborazione del solaio di Serlio, rivista in chiave decorativa. Fu proprio questa la tipologia di pannelli, descritta da Pierre Bullet nel suo “Architecure pratique” del 1691, che ebbe maggiormente diffusione agli inizi e che storicamente ha mantenuto un ruolo d’importanza.

Bullet descrive i pannelli formati da 16 o 20 quadrati inseriti in un reticolo di elementi che potevano essere disposti in senso parallelo o a 45 gradi rispetto alla cornice del pannello. I pannelli con il reticolo disposto diagonalmente rispetto alla cornice, furono di maggior diffusione e tuttora chiamati parquet Versailles, mentre quelli con il reticolo parallelo al bordo sono definiti parquet Chantilly.

Nel 1769 è Roubo nel suo trattato a spiegare dettagliatamente la tecnica di posa e a stabilire definitivamente che il parquet vero e proprio è quello per “assemblage”, cioè quello a pannelli preparati in bottega e poi messi in opera. Secondo le sue descrizioni, i pannelli decorativi misuravano di lato dai 3 ai 4 piedi (indicativamente da 1 a 1,3 m), mentre lo spessore variava da 1 a 2 pollici (da 2,5 a 5 cm). La preparazione del fondo per la posa consisteva nella stesura di uno stato di magatelli ricoperti da gesso, sopra al quale erano fissati dei travetti. Sopra ai travetti, posti ortogonalmente, erano fissati altri magatelli di 3 pollici di lato (circa 7,5 cm) con un interasse consigliato di un piede (32 cm circa).

Questi ultimi sostenevano i pannelli che venivano a essi inchiodati. All’interno della stanza i pannelli potevano essere posti con i lati paralleli alle pareti oppure, tecnica che divenne maggiormente applicata, disponendoli a 45 gradi. Per la posa si procedeva tracciando una linea mediana al centro della stanza, solitamente partendo dal centro del camino; in seguito si stabiliva un’altra linea perpendicolare alla prima per determinare il centro della stanza in cui si poneva il primo pannello. Spesso i pannelli Chantilly erano posati alternati a quelli Versailles che meglio si armonizzavano con l’impianto architettonico degli edifici.

Altre tipologie di pannelli di uso comune erano il parquet “Soubise”, sostanzialmente uguale al Versailles, ma composto solamente da quattro quadrati centrali, e il parquet “Aremberg”, composto da 4 quadri centrali inseriti in una cornice quadrata posta a 45 gradi rispetto ai bordi del primo e a sua volta contenuta a 45 gradi nel pannello. Come i precedenti, le dimensioni dei pannelli erano influenzate da quelle della stanza, ma normalmente erano di tre piedi. Spesso nella posa tra i pannelli erano inseriti dei listelli per collegarli tra loro e il pavimento sottostante. Solitamente erano di due tipi, della stessa lunghezza del pannello, con la parte finale che si incastrava con quella del listello successivo a punta di diamante, oppure di lunghezza doppia in modo da contenere due pannelli di parquet.

 

Il processo di stagionatura

In Italia, specie nel territorio piemontese, i pavimenti in legno ricalcavano le caratteristiche di quelli francesi. Risalgono a metà del Settecento panelli composti con legni diversi dal rovere, come ad esempio il noce, o con disegni che apportano lievi varianti agli ormai classici pannelli di origine francese.
Di grande importanza sono invece alcune descrizioni presenti in documenti conservati nell’archivio di stato di Torino, su come avvenivano talune lavorazioni. In particolare è descritto il processo di stagionatura, che continuava anche dopo il taglio degli elementi che dovevano comporre il pannello. Per otto notti i pezzi erano collocati vicino a un forno ed erano girati più volte da un lato e dall’altro; di giorno erano lasciati al sole e all’aria: questa operazione era considerata molto importante perché garantiva stabilità al legno. Quanto alla posa è precisato che veniva mediante incollatura e chiodatura dei pannelli ai sottostanti travetti in rovere. L’ultima operazione era di mettere la cera in maniera omogenea e quindi lucidare il pavimento.

 

Parquet a intarsi

Le prime notizie registrate sull’uso dell’intarsio applicato ai pavimenti in legno risalgono al secondo decennio del Seicento, periodo in cui Maria de’ Medici, nel palazzo del Lussemburgo, impiegò maestranze subalpine per gli impianti a motivi figurativi (Thornton P., 1978).

Come era stato nel Seicento, anche nel secolo successivo in Francia l’uso del parquet intarsiato restava prerogativa di ambienti di dimensioni contenute, mentre nel resto delle abitazioni, negli ambienti pubblici e di maggiori dimensioni si utilizzava il parquet a pannelli decorativi. La presenza del metallo, facilmente deteriorabile e inizialmente inserito nelle tarsie, venne ben presto abbandonato, data la varietà di legni reperibili.

La tipologia decorativa principalmente diffusa prevedeva la realizzazione di un rosone centrale, per lo più con decori floreali, dal quale si estendevano delle raggiere. Queste si risolvevano in una sequenza geometrica che sfruttava l’alternarsi di legni chiari e scuri disposti in elementi quadrangolari.
Dall’osservazione dei progetti di alcune realizzazioni fatte in Inghilterra, emerge chiaramente come gli artigiani dell’epoca fossero ben attenti alle condizioni ambientali in cui andavano a realizzare i pavimenti. Spesso, specie su applicazioni al piano terra, creavano delle intercapedini al di sotto dei pavimenti, prevalentemente con l’uso di travi in assicurare una continua aereazione e limitare il ristagno di umidità.

Inizialmente la tecnica dell’intarsio era utilizzata per abbellire i pavimenti già esistenti, in questo caso le tarsie create venivano incollate direttamente al tavolato esistente. Successivamente la tecnica dei pannelli decorati influenzò anche quella della tarsia. Da metà del settecento si iniziarono a produrre i pavimenti intarsiati nei laboratori degli artigiani.

Le tarsie, costituite da cartelle di legni di varie specie arboree, anche esotiche, avevano spessore di 3 – 5 mm ed erano incollate su pannelli tavolati di dimensione e forma variabili a seconda del decoro. I pannelli così realizzati erano posti in opera mediante incollaggio e chiodatura al sottofondo presente. L’adesivo utilizzato era definito colla forte o colla inglese ed era preparato con cartilagine, pelle e nervi di bue fatti macerare e poi bolliti quindi passati con setaccio e lasciati a riposo.

 

I listoni

I parquet formati da questo tipo di elementi compaiono per la prima volta attorno al 1700, ma non trovano ampia diffusione prima del ventesimo secolo. Molto simili ai pavimenti formati da tavole, si differenziano da questi per le minori dimensioni, larghezza di 7-11 cm, e per avere un sistema di assemblaggio lungo i fianchi formato da incastri maschiati.

Nella configurazione più tipica, i listoni, di varia lunghezza, sono posati in sequenza senza rispettare particolari allineamenti nelle giunzioni di testa, si parla allora di “posa a correre” o “a cassero irregolare”.
Nel caso in cui i listoni siano tutti della stessa lunghezza e disposti in modo tale che per ogni fila le giunzioni di testa avvengano in corrispondenza della mezzeria degli elementi omologhi delle due file adiacenti, la posa è definita “a cassero regolare”.

Notevole diffusione ha avuto anche la posa a “punto d’Ungheria”, in cui gli elementi sono caratterizzati per essere posti perpendicolarmente a quelli successivi e uniti a questi ultimi mediante tagli di testa a 45 gradi. Una variante a questo tipo di posa era quella a “spina di pesce”, in cui l’unione tra gli elementi avveniva senza la necessità di tagli a 45 gradi, mantenendo quindi la forma originale.

È da notare però che per garantire l’unione mediante maschiatura degli elementi, essi debbano essere destri e sinistri (ossia ponendo verticalmente il listone con il maschio di testa in alto, il maschio di fianco deve essere a destra nei primi e a sinistra nei secondi) e la posa avviene alternando file destre a file sinistre. Una soluzione alternativa a tale inconveniente è avere listoni con una scanalatura in entrambi i fianchi, in cui viene inserito una lamella di legno per creare l’unione tra gli elementi.

Tra le altre geometrie di posa, meritano ancora di essere ricordate quella a “echelles”, diffusa principalmente in Francia, in cui i listoni erano tutti allineati parallelamente tra loro. Una variante era quella a quadri, in cui i listoni, tutti della stessa lunghezza stabilita in un multiplo esatto della larghezza, erano posati a formare dei quadri in cui l’orientamento delle fibre delle doghe era posto ortogonalmente rispetto a quelle del quadro adiacente in modo da ottenere un effetto a scacchiera.

Versioni più ricercate prevedevano, lungo il perimetro della stanza, la disposizione di una cornice di finitura formata da elementi variamente disposti richiamando così alcuni motivi tipici dei pannelli decorativi. L’elemento che probabilmente ha riscosso maggior successo e che si ritrova nelle prime realizzazioni con lamparquet è la “bordatura a fascia e bindello” in cui, lungo il perimetro della stanza, erano posti elementi di 20 – 30 cm perpendicolarmente alla parete e separati dal campo centrale del pavimento da un bindello, ossia una lista o un decoro, spesso di una specie legnosa diversa da quella del restante pavimento.

Il principale metodo di posa utilizzato nel Novecento prevedeva l’incollaggio delle lamelle a una base che poteva essere in correnti di legno ricoperti da uno strato di bitume, altro metodo era di disporre direttamente il parquet, senza correnti, nel bitume caldo, oppure di porlo su un cartone bitumato steso sopra uno strato di sabbia di fiume.

Una delle fasi finali della posa dei listoni consisteva nella levigatura poiché, una volta messo in opera, lungo i bordi delle liste rimanevano sempre delle imperfezioni che dovevano essere piallate. Prima di procedere a questa operazione, era consuetudine cospargere la superficie del pavimento con trucioli bagnati, per inumidire la superficie e renderla facilmente lavorabile, come illustrato in molte raffigurazioni storiche.

 

Dal mosaico al lamparquet fino al moderno listone

A metà del ventesimo secolo, nel periodo della ricostruzione dopo la Seconda Guerra, anche l’industria dei pavimenti di legno ritrova vitalità. La produzione parte da prima con elementi a incastro maschio e femmina, per nulla diversi da quelli presenti già a inizio secolo. Ben presto però, in seguito alla grande richiesta di materiali a basso costo, si punta a produrre elementi che comportino minori lavorazioni e quantità di materia prima ridotte. Nasce in questo periodo il pavimento mosaico, formato da lamelle accostate in numero da 4 a 7, in base alla ditta produttrice, a formare quadretti di lato di 10 – 15 cm. I quadretti erano posti con fibratura ortogonale rispetto ai quadretti adiacenti fino a formare quadri di lato 40 – 60 cm. Sopra ai quadri cosi ottenuti veniva steso un foglio di carta adesiva con la funzione di mantenere in posizione tutte le lamelle sino al momento della posa. La posa avveniva per incollaggio al piano di supporto e, una volta avvenuta, si procedeva a rimuovere il foglio di carta umidificandolo preventivamente con una spugna.

Con il tempo il sistema di bloccaggio delle lamelle è stato modificato e si è optato per un sistema a rete composto da fili in nylon applicati elettrostaticamente, i quali permettevano di essere incollati assieme ai quadri al sottofondo, senza compromettere la buona riuscita della posa e agevolandone l’esecuzione.
Nei decenni seguenti si affermano altre tipologie di elementi quali il lamparquet, il listoncino e i pavimenti industriali.

Il lamparquet è composto da una tavoletta con spessore da 8 a 10 mm, larghezza variabile in base alla scelta da 40 a 70 mm e lunghezza da 200 a 450 mm. Le tavolette sono piallate e a forma parallelepipeda, provviste sempre nella faccia non in vista di una o due scanalature oppure di un incavo perimetrale per migliorare le caratteristiche dell’incollaggio.

Assieme al lamparquet, si iniziano a utilizzare gli elementi che componevano il pavimento a mosaico, procedendo alla posa disponendo i singoli elementi sul fianco anziché nel dorso e mantenendone le teste allineate. La nuova tipologia di posa prende il nome di “pavimento industriale” e nel tempo si caratterizza per avere elementi di lunghezza maggiore rispetto a quelli del pavimento a mosaico. Questo parquet ha ampia diffusione negli edifici pubblici o comunque in ambienti di ampie superfici, riuscendo a combinare assieme caratteristiche meccaniche ed estetiche di buon livello con un costo contenuto.
Verso la fine del millennio il listone, per essere ancora concorrenziale, diviene un pavimento di pregio, grazie prevalentemente alle maggiori dimensioni rispetto a quelle di metà Novecento e a quelle del lamparquet. Come riportato in molti testi tecnici, le dimensioni sono variabili in relazione alla scelta commerciale, con spessori da 10 sino a 22 mm e larghezze da 6 fino a 16 cm.

Questa nuova generazione di pavimenti è stata accompagnata negli anni dall’evoluzione di adesivi e vernici che hanno permesso di migliorare e accelerare notevolmente le lavorazioni rispetto ai secoli precedenti.

L’evoluzione di collanti di origine animale e vegetale è avvenuta in modo molto lento e graduale, ma è solo dagli anni Trenta che comincia l’era delle colle sintetiche, con la produzione di resine derivate dalla policondensazione della formaldeide con sostanze diverse. Inizia così una repentina sostituzione degli adesivi naturali con l’intento non solo di migliorare le caratteristiche adesive, ma specialmente di aumentare la loro durabilità.

 

Il parquet prefinito multistrato

L’ultima generazione di pavimenti in legno è formata da elementi composti da più strati. Il pavimento multistrato nasce dall’esigenza di ottenere un prodotto che risenta il meno possibile delle influenze dell’ambiente in cui è posto. La sua costruzione, essendo formata da strati lignei con orientamento delle fibre ortogonale tra loro, gli permette di essere meno sensibile alle variazioni di umidità e di mantenere la planarità tra i vari elementi. È inoltre il prodotto che meglio risponde alle esigenze di stabilità richieste dai moderni massetti con riscaldamento a pavimento.

La stratificazione dei pavimenti a due strati è formata dalla faccia a vista, denominata anche strato nobile, formato da una cartella di spessore non inferiore ai 2,5 mm. Lo strato sottostante è composto da lamelle di conifera, solitamente abete o da un pannello multistrato, solitamente in betulla. Lo strato sottostante è composto da un elemento unico che può avere dei tagli più o meno profondi trasversalmente alla lunghezza dell’elemento. Tali soluzioni dipendono da scelte fatte dai produttori per rendere più stabili i loro prodotti.

Gli elementi a tre strati si differenziano da quelli a due strati, oltre che per la struttura costruttiva, per le maggiori dimensioni. La struttura prevede che lo strato a vista abbia uno spessore di almeno 2,5 mm. Lo strato centrale è solitamente costituito da elementi in abate con fibratura disposta ortogonalmente alla lunghezza dell’elemento ma può essere formato da un pannello in multistrato. Lo strato inferiore è composto da una cartella uguale a quella della faccia a vista. La lamella dello strato inferiore ha solitamente caratteristiche estetiche inferiori rispetto a quella superiore. In questo modo gli elementi possono raggiungere lunghezze di 2 m e larghezze di oltre 200 mm, mantenendo caratteristiche di stabilità confrontabili con quelle degli elementi di minori dimensioni.

 

Gli intarsi moderni

Con lo sviluppo industriale della seconda metà del Novecento e la disponibilità di macchinari sempre più automatizzati, alcune aziende hanno proposto pavimenti che richiamassero i pannelli decorati e gli intarsi dei secoli precedenti. La tecnologia industriale che meglio risponde alle esigenze di precisione nel compiere le lavorazioni è quella del taglio laser. La precisione e qualità di lavorazione sono garantite dal particolare modo di lavorare del laser. Per compiere la lavorazione non si ricorre ad utensili ma ad un raggio luminoso, ad allevata energia, concentrato in una limitata superficie che permette la combustione del materiale colpito senza alterare ed intaccare quello adiacente. L’assenza di utensili elimina completamente anche il problema delle vibrazioni caratteristico delle lavorazioni per asportazione di truciolo, garantendo ulteriormente la precisione di lavorazione.

Oggigiorno, mediante l’utilizzo di appositi software di progettazione, è possibile realizzare intarsi di qualsiasi tipo, da elementi molto complessi nelle forme, a elementi di ridotte dimensioni: il tutto è limitato solo dalla fantasia del progettista.

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Il parquet per “assemblage”

Nel 1769 è Roubo nel suo trattato a spiegare dettagliatamente la tecnica di posa e a stabilire definitivamente che il parquet vero e proprio è quello per “assemblage”, cioè quello a pannelli preparati in bottega e poi messi in opera. Secondo le sue descrizioni, i pannelli decorativi misuravano di lato dai 3 ai 4 piedi (indicativamente da 1 a 1,3 m), mentre lo spessore variava da 1 a 2 pollici (da 2,5 a 5 cm). La preparazione del fondo per la posa consisteva nella stesura di uno stato di magatelli ricoperti da gesso, sopra al quale erano fissati dei travetti. Sopra ai travetti, posti ortogonalmente, erano fissati altri magatelli di 3 pollici di lato (circa 7,5 cm) con un interasse consigliato di un piede (32 cm circa).

 

Succedeva nel Settecento: la stagionatura

Di grande importanza sono invece alcune descrizioni presenti in documenti conservati nell’archivio di stato di Torino, su come avvenivano talune lavorazioni. In particolare è descritto il processo di stagionatura, che continuava anche dopo il taglio degli elementi che dovevano comporre il pannello. Per otto notti i pezzi erano collocati vicino a un forno ed erano girati più volte da un lato e dall’altro; di giorno erano lasciati al sole e all’aria: questa operazione era considerata molto importante perché garantiva stabilità al legno. Quanto alla posa è precisato che veniva mediante incollatura e chiodatura dei pannelli ai sottostanti travetti in rovere. L’ultima operazione era di mettere la cera in maniera omogenea e quindi lucidare il pavimento.

 

Le prime tecniche di posa

Il principale metodo di posa utilizzato nel Novecento prevedeva l’incollaggio delle lamelle a una base che poteva essere in correnti di legno ricoperti da uno strato di bitume, altro metodo era di disporre direttamente il parquet, senza correnti, nel bitume caldo, oppure di porlo su un cartone bitumato steso sopra uno strato di sabbia di fiume.

 

L’antica levigatura

Una delle fasi finali della posa dei listoni consisteva nella levigatura poiché, una volta messo in opera, lungo i bordi delle liste rimanevano sempre delle imperfezioni che dovevano essere piallate. Prima di procedere a questa operazione, era consuetudine  cospargere  la  superficie del pavimento con trucioli bagnati, per inumidire la superficie e renderla facilmente lavorabile.

 

Alcune fonti

– Roubo M. 1769. L’art du Menuisier. Paris

– Thornton P. 1978. Seventeenth-Century Interior Decoration in England, France & Holland. London: Yale University

– Nickl P. 1995. Parkett Historische Holzfu_böden und zeitgenössische Parkettkultur. München: Klinkhardt & Biermann

– Bullet P. 1691. Architecure pratique. Paris

– Casiraghi C. e Macchia C. 2002. Le pavimentazioni in legno. Tecniche di posa, sicurezza dei materiali, manutenzione. Dogana: Maggioli editore

– Carena G. 1839. Vocabolario d’arti e mestieri. Napoli: Giuseppe Marghieri / C. Boutteaux e M. Aubry

– Vertova M. 2005. Pavimenti lignei in Europa. Milano: Mondadori Electa Spa

di Samuele Tommasini