Senior Architect di Lombardini22, Alessandro Longo crede in un’architettura gentile, che parte dall’ascolto delle persone e arriva a costruire benessere. Con uno sguardo aperto alle neuroscienze e alla tecnologia, ma radicato nei materiali veri e nei bisogni reali
Federica Fiorellini
Ci sono incontri che ti aprono prospettive nuove. Così è stato per me con Alessandro Longo, architetto genovese e Senior Architect di Lombardini22. L’ho conosciuto a Mestre, in occasione di un convegno organizzato da FederlegnoArredo sul benessere abitativo. Mi ha colpita il suo modo di raccontare la progettazione, un atto umano prima ancora che tecnico, capace di influenzare profondamente il nostro stato emotivo. E poi il sorriso aperto, che ti fa sentire subito a tuo agio, come se anche nelle parole, come nei progetti, sapesse creare spazio.
Nella chiacchierata che segue Longo ripercorre il suo percorso – dagli insegnamenti dei maestri alla curiosità per tutto ciò che lo circonda, dalla musica alla tecnologia – e condivide una visione autentica dell’architettura, fatta di ascolto, rigenerazione urbana, materiali che si raccontano e spazi che fanno stare bene.
“Un progetto è un processo produttivo con una piccola ma straordinaria componente creativa”, mi ha detto. E proprio in quella creatività si intravede il senso di una professione che oggi ha bisogno più che mai di empatia, ricerca e bellezza vera.
Ci racconti qualcosa di te, del tuo percorso, delle tue passioni e di come sei arrivato dove sei oggi?
Sono nato a Genova 50 anni fa e mi sono laureato nella mia adorata città nel 2002 sviluppando un progetto di riconversione da molo portuale industriale a centro culturale internazionale di Genova, il Ponte Parodi, famoso ancora oggi per essere un tema non ancora risolto. Ogni tanto mi chiedo se fosse giusto il nostro progetto… Sicuramente sì, senza nessun indugio.
Esperienze che formano lo sguardo
Qual è stato il momento o l’esperienza che più ha segnato il tuo approccio professionale?
Tutte le esperienze professionali hanno contribuito a costruire le mie caratteristiche di oggi.
Dal mio maestro Ermanno Ranzani ho imparato a essere architetto, comprenderne il ruolo e la responsabilità sociale, da Italo Rota ho imparato invece a essere meno architetto e farmi distrarre e arricchire da tutto il resto che ci circonda come la musica, la tecnologia, la moda, i giocattoli e così via, in Progetto CMR ho conosciuto il gruppo di lavoro che è oggi Lombardini22 e qua sono cresciuto 18 anni ho seguito lavori complessi e articolati per capire che un progetto è in realtà un processo produttivo che si compone di diverse fasi consequenziali e complementari di contributi tecnici ed umani, dove la componente creativa è molto piccola ma straordinaria importanza.
Il Sole 24 ore definisce Lombardini22 “una piattaforma di servizi multisettoriale con un’offerta che sposa anche le neuroscienze, la realtà virtuale, l’inclusività e l’approccio Esg-included”. Come ti collochi in questo “contenitore” e come ti ci trovi?
Perfettamente a mio agio, sono curioso e mi piace raccontare attraverso i progetti storie sempre diverse con svolgimenti e sceneggiature mai ripetitive.
L’architetto rigeneratore
Ti definisci un architetto rigeneratore, cosa significa per te?
Significa intervenire sulle fragilità dei territori che spesso hanno comportato disagio sociale ed economico.
Significa ascoltare chi abita le aree della città con più disagio per proporre soluzioni adatte a quel contesto e non necessariamente adatte alle logiche del mercato immobiliare. Rigenerazione urbana è innanzitutto una rigenerazione culturale, un mondo nuovo di porsi nel processo di progettazione facendo spazio a voci e valori fino ad ora non considerate.
A un recente convegno organizzato da Federlegno hai raccontato che gli spazi sono in grado di influenzare lo stato emotivo. Ce lo spieghi?
Provare benessere in uno spazio significa potersi porre nella relazione con altri in modo più positivo, rilassato abbandonando l’ordinario stress che ci contraddistingue, noi anime urbane inquiete.
Come pensi che tecnologia e innovazione (la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale) possano cambiare il modo in cui progettiamo e viviamo gli spazi?
La tecnologia è già protagonista del cambiamento nel processo di produzione di un progetto, alcune tecnologie potranno migliorare la conduzione e gestione dei progetti da parte degli utenti efficientando le risorse ed evitando sprechi di energia ed acqua su tutte. Vivere meglio uno spazio non potrà mai dipendere dalla tecnologia ma dalla determinazione di quello spazio. I valori di materia e spazio sono e rimarranno nella sfera analogica ed oggi anche neuroscientifica questa è innovazione nulla di digitale potrà rispondere ad un benessere sensoriale.
La casa del futuro
Come pensi sarà la casa del futuro, o meglio, come ti piacerebbe che fosse?
Con poche pareti, con le finestre al posto giusto, con materiali che non si fingono e materiali e tecnologie che non si nascondono, con spazi generosi in altezza un valore dimenticato, forse su più livelli con sistemi di movimentazione verticale accessibili a tutti e a tutte le generazioni, in questo modo l’impronta degli edifici sul pianeta sarebbe inferiore a quella che proponiamo oggi.
Non posso non farti una domanda sul legno: che rapporto hai con questo materiale?
Devo averlo sempre sotto i pedi e possibilmente non sbiancato, per me è una sensazione impagabile per contatto e profumo. È espressione della natura viva nessun materiale può contare su questa caratteristica.
Se potessi lanciare un messaggio a chi oggi si approccia al mondo dell’architettura, cosa gli diresti? Quale consiglio daresti a un giovane architetto?
Di leggere tanto quanto è stato scritto dai più grandi maestri di architettura che con l’avvento dell’epoca industriale avevano immaginato cosa avrebbe determinato l’incidenza delle macchine e l’impatto che avrebbero avuto sul disegno delle città, la vita delle persone e la natura.
Di guardare il meno possibile i progetti di “design” di cui non si capisce il senso della costruzione ma solo arditi dettagli di facciata.
Un edificio se è bello lo capisci quando in cantiere sono state completate le strutture, dove emergono chiare le proporzioni e gli spazi.” Citazione di Ermanno Ranzani il mio maestro di architettura a cui devo il mio essere Architetto