«Noi siamo lo spazio che occupiamo e il nostro corpo, spirito compreso, soffre oppure è contento secondo quello che lo circonda. E se si modifica lo spazio, si modifica il corpo. Così corpo e spazio finiscono per rassomigliarsi più del cane al padrone. E se lo spazio nel quale ci muoviamo si ammala, ci ammaliamo anche noi», Giorgio Todde.
Almeno una volta al mese vado in libreria. Una piccola libreria indipendente di quartiere specializzata in libri illustrati, di quelle che quando entri esci sempre con un pacchetto, più o meno voluminoso, sottobraccio. Il mese scorso mi è caduto l’occhio su un libriccino con la copertina verde edito da add e scritto dal sociologo (l’ho scoperto dopo) Andrea Staid. In copertina c’era una palafitta stilizzata e il titolo recitava “La casa vivente. Riparare gli spazi. Imparare a costruire”. Inutile dire che mi ha chiamata. Perché di case, in fondo, scrivo e racconto tutti i giorni. E poi perché le case sono la mia passione.
Il saggio di Staid è una specie di giro del mondo (dalle Ande al Vietnam, dall’India al Laos, dagli Stati Uniti alla Russia, fino all’Italia) per indagare il senso più profondo dell’abitare; una riflessione molto interessante sul significato della parola “casa“, il luogo umano per eccellenza, un concetto – ci spiega l’autore – che non riguarda solo la dimensione domestica, ma che ha a che fare con le relazioni che costruiamo con le persone nella nostra comunità.
Mi ha colpita molto il racconto degli edifici delle comunità indigene, modelli di case vive, che fanno parte della vita e della cultura dei popoli che rappresentano. Così come mi hanno colpito le esperienze di tanti progettisti e autocostruttori visionari, che hanno scelto di abitare in rapporto diretto con la natura.
Mi è piaciuta, infine, la riflessione sul costruttore come homo faber (concetto che oggi si è perso), in grado di attingere “a un repertorio di ‘trucchi del mestiere’ appresi strada facendo … somministrando un’alta dose di improvvisazione creativa e scelte personali“.
“La casa vivente” non è solo un invito a ripensare il nostro modo di costruire case, è un invito a costruire un mondo nuovo, a partire da come concepiamo ciò che costruiamo. Mettendo un po’ di futuro nel nostro presente.
Le vacanze si avvicinano… Se avete spazio in valigia.
di Federica Fiorellini