Tutto è iniziato con un pezzo di legno.
“Ma non siete ancora stufi di parlarne?”, diranno subito i nostri lettori. La risposta è no. Questa è la materia che amiamo, che conosciamo, che (da otto anni) abbiamo scelto di “raccontare” dalle pagine di questa rivista.
Da quando è uscito il primo numero di I Love Parquet sono cambiate tante cose.
Penso che offrire contenuti tecnici ed “emozioni visive” sia ancora essenziale, così come promuovere community e creare connessioni, ma oggi bisogna farlo in modo diverso, adattando il proprio universo narrativo alla nuova normalità. Quella normalità che, da un anno a questa parte, ci vede trascorrere più tempo nelle nostre case, che ci ha fatto riscoprire il valore del tempo, insegnandoci a distinguere le cose che contano da quelle che non sono realmente importanti e a scegliere prodotti che ci garantiscano lealtà, sicurezza, sostenibilità. Perché abbiamo capito che salute della terra e salute dell’uomo sono strettamente collegate.
Penso che oggi dobbiamo imparare a raccontare la storia del parquet come di un prodotto rassicurante e sicuro. Dobbiamo saper raccontare, come fa FEP nella sua ultima campagna (vi invito a leggere la rubrica a pagina 82), che ogni elemento in legno è un “serbatoio” di stoccaggio di CO2, che un parquet (potenzialmente) ha una bassissima incidenza sul cambiamento climatico e che è completamente riciclabile. Che è igienico e antiallergico, durevole ed economico. Che un prodotto sostenibile non è la copia impoverita di quello non sostenibile, ma, al contrario, è esteticamente più forte e convincente. Più poetico anche. E più sincero.
di Federica Fiorellini