Negli ultimi due anni, probabilmente, potremmo avere un maggior numero di motivazioni a disposizione per poterci lamentare più del solito, ma, a mio avviso, non le ritengo ancora motivazioni abbastanza valide, seppur lecite.
E se fossero degli alibi che usiamo per non uscire dalla nostra “zona di comfort”? Questa è una domanda che mi pongo spesso, da ben più di due anni, perché sì, io ce l’ho con tutti quelli che (da sempre!) dicono: “Ho sempre fatto così”… E quindi?
In un momento storico in cui le risposte tardano ad arrivare e i risultati non vengono confermati, a parità di impegno rispetto agli anni passati, credo sia necessario cambiare le strategie messe in atto fino ad ora per poter vedere qualche cambiamento.
“Ma se si è sempre fatto così!”. E adesso si cambia: qual è il problema? Anzi, il problema c’è e potrebbe essere anche molto consistente, perché il cambiamento richiede fatica, riadattamento, riorganizzazione, ricerca di nuovi equilibri, modalità diverse di vedere le cose e una buona capacità di previsione.
Come diceva l’ex presidente statunitense Thomas Jefferson: “Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi fare qualcosa che non hai mai fatto”.
Ritengo che tutti siamo concordi e consapevoli del fatto che la società e il business stiano cambiando a una velocità elevatissima, che richiede e implica una elevata capacità di cambiamento: dobbiamo diventare “camaleontici” e saperci adattare, in velocità, a ogni nuova situazione ci si presenti, attingendo a tutti i “tool” in nostro possesso, vecchi e di ultima generazione.
Dobbiamo abituarci a questo scenario, che richiede una capacità operativa molto rapida, ma ponderata e ben valutata: si tratta di richieste “nuove” e, probabilmente, anche un po’ ambiziose, che risuonano come pretenziose per i “ragazzotti” della mia età, ma che sono molto naturali e familiari alle nuove generazioni.
Ed è proprio con queste che, secondo me, ci troviamo a fare i conti: non sono le nuove informazioni, i nuovi bisogni, le nuove tecnologie a preoccuparmi, ma sono spaventato proprio dalle nuove generazioni. La tendenza dei più “maturi” è quella di restare ancorati a vecchie abitudini e vecchi atteggiamenti in attesa di risultati certi, mentre i più giovani rischiano di soppiantarci per la loro velocità di adattamento e allenamento al problem solving.
Si tratta di una questione che, secondo me, non ha aree di competenza specifica: riguarda chiunque, di qualsiasi settore e di qualsiasi età.
La domanda che conviene porsi oggi è: voglio essere parte del problema o voglio essere parte della soluzione? La scelta della risposta determina i nostri risultati e il nostro successo.
Mentre me lo chiedo può essere che qualche giovanotto rampante, avendo già trovato la soluzione, mi abbia già “soffiato” dei clienti, dei fornitori o dei potenziali collaboratori. Ma anche di questo bisogna prendere consapevolezza, cercando di velocizzare i tempi di reazione: trattandosi di un allenamento, sono sicuro che giorno dopo giorno, anche in questo ambito, i risultati non tarderanno ad arrivare, perché dentro a ogni situazione critica si può nascondere una grande opportunità. Sta solo a noi vederla e volerla cogliere.
Stiven Tamai