Silvoterapia, un gesto antico


Abbracciare un albero per trovare benessere, per entrare in comunicazione con il mondo vegetale. L’autore ci accompagna in un affascinante viaggio alla riscoperta del potere terapeutico della natura.

Abbracciare un albero per sentirsi meglio è il consiglio alla base della silvoterapia, una pratica che prevede sia di abbracciare gli alberi in modo naturale e spontaneo, come fossero una persona, sia di sederci al loro fianco, appoggiando la schiena sul tronco dell’albero e posizionando la mano destra nella zona del plesso solare, sotto il diaframma, e la mano sinistra dietro la schiena, tra il nostro corpo e l’albero, in corrispondenza della zona dei reni.

Oggi più di ieri la natura – non più considerata un bene da depredare o dilapidare – ritorna a essere un valore importante della vita, valore che non è più semplicemente appannaggio di qualche nostalgico o integralista verde, ma che taglia trasversalmente la società.

Questa nuova sensibilità verso la natura ci porta anche a riscoprire pratiche antiche, in grado di donarci nuovi tipi di benessere (o che avevamo scordato), legati proprio al rapporto diretto con la natura, magari proprio abbracciando le piante.

Ricordo lo sconcerto e lo straniamento quando, durante la visione di un film australiano, scorsi, su un cartello ai Royal Botanic Gardens di Sydney, una scritta molto diversa da quelle che ero abituato a vedere qui in Europa: “Please walk on the grass. To hug the trees” (Per favore, cammina sull’erba. Abbraccia gli alberi). Sempre guardando questo film, ricordo anche la sensazione piacevole nell’osservare quella pratica tanto strana quanto naturale che proveniva dall’antica saggezza locale, abbracciare gli alberi.

Milioni di anni fa…

Ma iniziamo dal principio: milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi e abbiamo iniziato un più o meno lento stillicidio, tagliandoli e bruciandoli, talora a ragion veduta, talaltra semplicemente seguendo gretti interessi economico speculativi.

Da diecimila anni a questa parte abbiamo anche imparato a piantare e coltivare gli alberi, spesso più per intenti ego-riferiti che per vero amore e rispetto nei loro confronti e del loro ruolo fondamentale, anche per l’uomo.

Abbracciare gli alberi è un’antichissima pratica che accomuna culture molto diverse e distanti tra loro: dagli indiani d’America ai tibetani fino agli aborigenos australiani, sino alla sua ripresa, recente, anche in Occidente.

È una pratica che aiuta a ritrovare un bilanciamento e un’armonia interiore spesso messi a dura prova dalla realtà quotidiana e a riequilibrare il rapporto tra gli esseri viventi, non mettendo più l’uomo in una posizione di arrogante superiorità rispetto agli ‘indifesi’ vegetali.

Come nel passato, oggi sempre più persone sono convinte che, abbracciando le piante, si possa rientrare in un circolo comunicativo con il mondo vegetale dal quale entrambi, noi e loro, possiamo trarre giovamento.

Alberi e senso del sacro

Il senso del sacro, come spesso è ricordato dalle tradizioni antiche, è nato proprio al cospetto delle piante, davanti alla loro massiccia possanza e delicata fragilità, contemplandone la capacità di sfidare le avversità del tempo e della vita, di spingersi oltre i limiti angusti della percezione primitiva, con le loro radici che si spingono sino alle viscere più recondite della terra e le frondose chiome che si stagliano verso il cielo, che si slanciano verso l’universo.

Una meraviglia che si ritrova nell’osservare il miracoloso rifiorire delle piante a ogni primavera, nel gustarne i deliziosi frutti, nell’incantevole spettacolo dei cromatismi autunnali e nel vitale torpore che le addormenta durante i gelidi mesi invernali.

Ritrovare la natura per ritrovare se stessi

Uno studio che ho personalmente compiuto su chi abbraccia gli alberi dimostra che questa esperienza viene sempre descritta come un “abbracciarsi reciproco“: non è solo l’uomo che abbraccia l’albero, è anche l’albero ad abbracciare l’uomo ma, per accorgersene, bisogna essere sensibili, bisogna rendersi conto che l’albero non è semplicemente un organismo appartenente a una certa specie botanica, ma è un essere vivente che ci lancia dei richiami insistentemente.

Non c’è nulla di ilozoistico in tutto ciò (alludo a quella concezione della materia come un tutto animato e vivente), si tratta solo di capire e ricordare che, con l’antichissima pratica di abbracciare gli alberi, possiamo anche ritrovare noi stessi attraverso il contatto del nostro corpo con il loro.

Citazioni letterarie

Tracce di una simile pratica ci sono anche nella nostra cultura, non solo in quelle orientali, basti pensare ad Herman Hesse che, nel suo celebre libro “Il canto degli alberi”, sottolineava: “Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell’infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale l’unico scopo: realizzare la legge che insita in loro, portare alla perfezione, la propria forma, rappresentare se stessi. Niente è più sacro e più esemplare di un albero bello e forte”.

O, ancora, il grande scrittore portoghese José Saramago, che raccontava gli ultimi istanti di vita di suo nonno, ricordando che scese nell’orto per abbracciare i suoi alberi.

Una pratica che, anche lo scrittore Romano Battaglia, confessa di esercitare sin da bambino e che ricorda nel romanzo “Incanto”: “Vivevo un tempo in Argentina, dove c’è questa meravigliosa zona di El Tigre. Da ragazzo con gli amici, anche se allora era una zona un po’ paludosa mi piaceva perdermi in questo labirinto di rami e di foglie, finché a un certo punto sentivo il bisogno di abbracciare un albero, qualche volta abbracciavo lei. Nessuno me l’ha insegnato, è sempre stato un desiderio istintivo. Il contatto con il legno mi donava una pace, una serenità così intense che da allora non ho più smesso. Chi soffre di depressione non ha più fiducia nella vita, vede intorno a sé solo una palude stagnante. Gli alberi possono riconciliarci con noi stessi e con il mondo, ma bisogna lasciarsi andare e crederci fino in fondo: solo così si avvertirà questa forza magnetica che avvolge il nostro corpo. Una forza che gli indiani d’America conoscono da sempre e che accompagna la loro vita fin dall’inizio”.

E proprio gli indiani sono abituati, da sempre, a deporre il bambino nato da qualche mese ai piedi di un albero per un’intera giornata, una pratica che assomiglia molto ai giochi dei bambini rievocati anche da Battaglia come “fare la culla“, ossia sdraiarsi su un piccolo avvallamento di terreno erboso cosparso di aghi di pino. Anche molti animali fanno così: restano accucciati nell’erba per molte ore.

Per un adulto può essere difficile immaginare di potersi lasciare trasportare e concedere simili azioni. Invece è necessario saper ritornare all’infanzia… Io ripenso a quando i miei avevano la campagna in Calabria: è come aprire una fontana che era chiusa e che ritorna a zampillare. Solo così è possibile riuscire a provare di nuovo le emozioni pulite e pure che abbiamo scordato o perduto.

Silvoterapia e solidarietà

Gli alberi possono anche insegnarci lo spirito di solidarietà che sta riemergendo nell’era del wellthiness (una perfetta fusione di salute, benessere e felicità). Perché, nelle foreste, quando i rami litigano per il vento, le radici si tengono per mano.

Da simili osservazioni stanno sorgendo molte iniziative anche in Italia, come il progetto promosso dalla Regione Toscana che invita e insegna alle neomamme a abbracciare le piante per scacciare le loro ansie e paure, stringendo a sé gli alberi e riuscendo così a superare lo stress.

Volete sperimentare la silvoterapia? Non aspettate novembre, la Giornata dell’Albero, fatelo anche ora. Abbracciate un albero o fate una passeggiata nei boschi. Ne trarrete un benessere immediato.

di Fabio Braga