Federchimica, 2017 anno positivo (ma non troppo)


Nel 2016 il rallentamento della domanda globale unito alla debolezza degli scambi internazionali si è tradotto per la chimica a livello mondiale in un anno di crescita, seppure positiva, molto moderata (poco sopra al 2%), leggermente inferiore ai tassi di crescita sia dell’anno precedente (2,6%), sia di quelli di lungo periodo (3,3%). In un quadro di leggero miglioramento della crescita economica accompagnato dal ritorno a un maggiore dinamismo del commercio (ad ogni modo sotto i tassi di crescita pre-crisi), la chimica mondiale dovrebbe mostrare una leggera accelerazione nel 2017 (+2,8%).

I timori di inizio anno relativamente a un hard landing cinese si sono ridimensionati e così anche la chimica – un settore fortemente pro-ciclico – non ha mostrato drammatici cali nei tassi crescita (+6,5%), che rimangono soddisfacenti anche se inferiori a quelli a doppia cifra degli anni pre-crisi.

Anche nel 2017 la crescita della produzione chimica cinese dovrebbe attestarsi poco sopra al 6%, un tasso che potrebbe rivelarsi sufficiente a scongiurare l’ulteriore aggravamento dei problemi di sovraccapacità. Tuttavia, i progetti in corso in Asia e ancora una volta in Cina – che sempre più guida la classifica degli investimenti petrolchimici a livello mondiale – comportano in prospettiva il rischio di una significativa sovraccapacità in alcune value chain. In particolare, la Cina sta diventando sempre più autosufficiente in alcuni prodotti e questo pone il rischio di deviazioni dei flussi di commercio dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente verso l’Europa. Questi problemi rendono estremamente rischiosa la politica “soft” della Commissione Europea per gli strumenti di difesa commerciale, come i dazi antidumping.

Dopo il rallentamento mostrato nel 2016 (+1,6%) – connesso quello dell’industria domestica e mondiale – la chimica americana mostrerà una decisa accelerazione della crescita nel 2017 (+3,6%) e negli anni a seguire, sostenuta sia dal miglioramento dello scenario di domanda, sia dal perdurare del vantaggio competitivo connesso allo shale gas e dall’operatività degli enormi investimenti chimici connessi.

La chimica europea – fedele cartina di tornasole della situazione di debolezza nel Vecchio Continente – chiuderà il 2016 con una stabilizzazione dei livelli produttivi, ma nasconde andamenti diversificati tra i vari segmenti.

A fronte di un ulteriore rallentamento dell’economia europea, il Cefic prevede per il 2017 solo una moderata crescita dei volumi di produzione chimica (+0,5%). La domanda da parte dei settori clienti non mostrerà forti accelerazioni, ma sarà più bilanciata rispetto al 2016 e si accompagnerà anche a un contesto di domanda mondiale in moderato miglioramento e a un cambio dell’euro più favorevole, ma l’incertezza condizionerà le politiche di acquisto degli utilizzatori.

La chimica europea continua ad affrontare una serie di sfide e di limiti alla sua competitività, innanzitutto un forte divario di costi rispetto a USA e Medio Oriente, nonostante il calo negli anni scorsi del prezzo del petrolio e conseguentemente della virgin naphta abbia sicuramente contribuito a ridimensionarlo.

In un contesto generale di forte incertezza e bassa crescita, la produzione di chimica in Italia ha proseguito lungo un cammino di moderato recupero ancora caratterizzato da un andamento fortemente altalenante, connesso alla fiducia, alle aspettative e quindi alle modalità di acquisto dei settori clienti a valle.

Nel corso del 2016 la domanda interna si è confermata in crescita: alla robusta performance dell’auto e componenti, si affiancano le buone performance di altri importanti settori clienti (farmaceutica e gomma-plastica). In ripresa anche il mobile e primi segnali di una fine della caduta dalle costruzioni.

Nonostante la forte e generale debolezza del commercio mondiale, l’export chimico italiano sta mostrando un aumento nei volumi: alla sostanziale stabilità a valore, infatti, si contrappongono prezzi in calo. Dopo la Spagna quella italiana è la migliore performance tra quelle dei principali competitor europei.

In particolare, l’export di chimica delle specialità continua a crescere a tassi robusti, anche a valori (+5,2% dopo essere cresciuta del 34,3% nel periodo 2007-2015).

Gli ultimi mesi del 2016 non sembrano mostrare particolari segnali di miglioramento – con gli utilizzatori finali che appaiono molto cauti e lasciano basse le scorte di materie prime – e pertanto la produzione chimica in Italia non dovrebbe chiudere oltre il +0,9%, con un export in crescita (+2,1% in quantità), anche se a tassi inferiori al 2015, e a fronte di una crescita della domanda interna (+1,4%) che si accompagna anche ad un aumento dell’importazioni (+2,6%).

Per i prossimi mesi – a meno di sempre possibili forti cambiamenti nel contesto – lo scenario sarà di bassa crescita, ma di minor cautela sulle scorte anche perché è ormai chiaro che la filiera della petrolchimica dovrà scaricare a valle aumenti di costo connessi al nuovo livello del prezzo del petrolio.

Di conseguenza, ci si può attendere dopo un finale d’anno fiacco, che l’inizio 2017 possa offrire qualche spunto di crescita in più.

D’altro canto il contesto generale dell’industria europea e italiana non permette facili ottimismi per il 2017 e i rischi all’orizzonte restano tanti:
– aumento dell’incertezza politica a livello europeo e italiano,
– incertezza in merito alle politiche di Trump e sugli effetti,
– possibili turbolenze sui mercati finanziari, trasformazione della Cina e minori tassi di crescita della sua economia e della sua industria.

Pertanto, le previsioni per il 2017 non vanno al di là di una ancora moderata crescita (1,2%).
La domanda interna mostrerà ritmi di crescita simili a quelli dell’anno precedente (+1,3%), così come le importazioni (+2,4%). L’export potrà segnare una modesta accelerazione (+2,5%).

Si conferma in particolare che, al di là di casi isolati, il settore non accusa i colpi di una crisi strutturale, anche se subisce quelli dei settori utilizzatori: i crediti in sofferenza del settore sono molto bassi ma gravano sulle imprese chimiche gli elevati livelli delle sofferenze sui crediti dei principali settori utilizzatori. E tutto ciò in un contesto oggettivamente gravoso per le produzioni italiane dovuto al costo dell’energia, ai vincoli burocratici, alla logistica.

Ciò significa grande capacità delle imprese di “fare bene chimica” nel nostro paese grazie a un mix di qualità, innovazione sempre più basata sulla ricerca e diffusa tra molte imprese, grande flessibilità e capacità di gestione dei processi produttivi proprio per il fatto di dover far fronte a costi più elevati.

Può essere interessante allora utilizzare un testimonial importante di questo “saper fare”: l’impresa italiana a capitale estero che produce e fa attività innovativa in Italia. Particolarmente interessante, ad esempio, che un paio di anni fa le due imprese “italiane” con il maggior numero di brevetti depositati all’Ufficio dei brevetti europeo di Monaco non solo erano chimiche ma anche a capitale estero.

In un contesto davvero difficile, determinato da costi elevati dell’energia, vincoli burocratici, spinta a investire in Asia e forte debolezza del mercato interno, queste imprese – che sono parte integrante dell’industria chimica in Italia determinando quasi il 40% della produzione nazionale – hanno saputo avvicinarsi ai livelli pre-crisi: il valore aggiunto è cresciuto dal 2007 al 2015 del 4,7% e ancora di più negli ultimi anni (+16% tra 2012 e 2015), grazie soprattutto alla capacità di confermarsi come provider a livello mondiale.

In caso di migliori condizioni operative, questo impegno potrebbe probabilmente tramutarsi anche in maggiori investimenti, occupazione e crescita.

Fonte: Federchimica